Il poeta arrivò nell’agosto 1892 e alloggiò in centro all’Albergo dell'Aquila Nera
Giovanni Pascoli, noto poeta italiano, è da sempre considerato dalla vulgata critica un protagonista importante nella storia letteraria italiana: romagnolo, attaccato alla famiglia, è passato agli annali come un personaggio ancorato alle sue origini familiari. Nonostante ciò, la critica letteraria ben sa che Pascoli presto dovette andar via San Mauro di Romagna, luogo natìo, mettendo piede anche in Toscana. Dopo essere stato allievo di Giosuè Carducci, divenne ben presto professore.
Pascoli giunse dunque a Siena nell’agosto 1892 e alloggiò in pieno centro all’Albergo dell'Aquila Nera. Anche in quel caso emerse subito il rapporto morboso con la sua famiglia, il cosiddetto nido familiare; egli, infatti, si preoccupò subito di inviare un biglietto alle sorelle avvisandole che “arrivato a Siena con la pioggia sono salito sull'albergo dell'Aquila Nera” e spiegando cosa avrebbe fatto nell’imminenza. Sempre da questo carteggio con le sue amate donne, Pascoli racconta che nella camera dell’Aquila Nera completò la poesia, abbozzata durante il viaggio, intitolata A Maria che l’accompagnò alla stazione, successivamente pubblicata tra le Poesie varie, in cui esprime alla sorella il suo stato emotivo nel rivederla sola sul marciapiede della stazione. In questa lirica la visione della donna diviene quella della madre nei ricordi giovanili del poeta: “Non sono io forse il piccolo Giovanni / che sua mamma accompagna alla stazione? ... al piè del nero treno, / piccola, con un pallido sorriso, / scarna, muta, pensosa; l'occhio, pieno / di lagrime invisibili, in lui fiso”.
Il poeta continua il rapporto epistolare con le due sorelle scrivendo: “Sono andato a spasso, per Siena: bellissimi edifizi, bellissimo il Duomo”, precisando che “io non vi starei nemmeno dipinto; a me piace l'aria e la campagna […]. Siena è veramente bella e ve la descriverò a voce. Non vi aspettate però gli entusiasmi: io non mi commuovo veramente se non avanti le bellezze naturali. Un albero per me val di più della torre del Mangia e del campanil di Giotto”. D’altronde non c’è da meravigliarsi per quanto riportato in queste righe: questa affermazione non significa che Siena è screditata dal letterato. È il contesto culturale in cui Pascoli si affaccia a giustificare questa affermazione: siamo, infatti, in pieno clima decadente, epoca durante la quale l’obiettivo poetico era scoprire nella natura l’essenza ed i segreti della realtà attraverso un processo interamente interiore. Per sostenere la tesi che Pascoli non provasse avversione per la città si ha un vero e proprio omaggio poetico a Siena. Il letterato ebbe come studente Mario Martinozzi, poeta che pubblicò alcune raccolte sotto lo pseudonimo di Mario da Siena. Il Pascoli tradusse in latino un componimento di Mario, intitolato “Torre di Comune”, chiara allusione alla Torre del Mangia. La lirica recitava: “Ne l'azzurro purissimo s'innalza / come stecco di pietra la gran torre; / guardan le lupe dall'estrema balza: / guardan le lungi gialleggianti forre, / guardano i tetti che la sera incalza, / guardano l'Arbia che lontano scorre. / Il tedio oscura l'iridi di pietra: / più non vedon le glorie della Lupa, / non gli stendardi sventolanti all'etra. / Vigila al ciel la vecchia torre cupa”.
Niccolò Ricci