IL MODO “CARNALE” DI ESSERE SENESI
News inserita il 12-04-2016
Cosa c'è "dentro" al Palio
Molti, chiamiamoli così, “forestieri”,
si chiedono cosa ci sia "dietro" al Palio; ecco, in realtà io direi cosa c’è "dentro"
ad esso. Non è facile dirlo!
Dentro al Palio c’è il
motto “per forza e per amore”.
Molti sostengono di
conoscere Siena avendo visto una volta il Palio.
Una volta.
Noi, però, sappiamo che il
Palio è sempre uguale e sempre diverso, è così… sembra un paradosso. E’
rituale, è tradizione ferrea, ma è sempre diverso.
Ogni volta.
Quando “dalla Torre del
Mangia cade un suono di bronzo”, come ha scritto Montale, è un suono che entra
nella bocca dello stomaco e fa male.
Il cuore di tutti noi
entra in “sospensione”.
Manca poco, ma in realtà
tanto. E proprio questo ossimoro rende i nostri volti sempre più severi.
Di Palio siamo in tanti a
scrivere ed ogni tanto mi chiedo a cosa serva “descrivere” qualcosa che per gli
altri, per i “non senesi”, rimarrà comunque non del tutto comprensibile, mentre
per i contradaioli è già tutto scritto nell’ “anima”.
Forse sarà inutile, ma mi
emoziono sempre a scrivere di Siena e di Palio, soprattutto quando sono lontana
e non posso farmi cullare dall’abbraccio infinito e materno di Piazza del
Campo. Mi piace soprattutto scoprire quanto ogni volta mi “innamori” in maniera
più intensa, più consapevole di Siena, del Palio.
Come ha detto Frajese per
il Palio non serve né televisione nè fotografia, anche se tutto viene
riguardato innumerevoli volte dai senesi.
Al termine della corsa,
mentre l’urlo infinito della piazza continua imperterrito, “ogni contradaiolo
ha visto un suo palio, che unito a quello visto da altri, pezzetto dopo
pezzetto, come in un mosaico contribuisce a stampare quel palio in un ricordo
indelebile e così la cronaca diventa storia, leggenda, diventa mito”.
Il 2 luglio 1993 vinsi il
mio primo palio, avevo 9 anni.
Barabba e il Pesse avevano
raggiunto il bandierino per primi con il colori del Leocorno. Quel Palio fu per
noi una sorpresa.
Ricordo che non sapevo se
ridere o piangere, gli sguardi di tutte le persone che mi erano accanto,
compresa quella del mio babbo Roberto, erano talmente sconvolti, pieni di
lacrime e sorrisi che non sapevo cosa stesse succedendo.
Era un vortice.
I fazzoletti andavano in
cielo insieme alle grida.
E poi la corsa infinita di
abbracci, lacrime; ricordo ancora adesso il rossore che vedevo nei volti e se
mi giro un attimo mi sembra di vedere il babbo che bacia Barabba al collo.
Fino ad allora, sapevo che
si correva per vincere, ma non avendo mai vinto, non sapevo cosa avrei visto
davvero.
Quel giorno capii che “vincere
il palio” a Siena è tutto, è anche un po’ una rivincita nei confronti di tutti
i “rospi” ingoiati durante tutto l’anno, rigenera l’animo. Si, perché poi
quella determinata data, diventa un “anniversario” indelebile.
Per esempio io ricordo
ancora la vacanza a Castiglione della Pescaia “prima” del fatidico Palio
accompagnata dal borbottio di babbo Roberto che su Barabba proprio non ci credeva,
e poi ricordo tutto quello che è successo “dopo” il 2 luglio 1993.
E’ una data che scandisce
la vita, c’è il prima ed il dopo.
E lo è per tutti quelli
che si trovano a vincere il Palio.
In quel lasso di tempo tra
il prima ed il dopo, quel popolo, la cui sorte è stata favorevole, è in festa e
con orgoglio, con gioia, alza le braccia al cielo e tra il Te Deum di
ringraziamento alla Madonna e i canti di contrada, tra sacro e profano, si
trova a “vivere”, per davvero.
Per forza e per amore.
Chiara Lenzini
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