I momenti più emozionanti vissuti da tre artisti: Massimo Stecchi, Jean Claude Coenegracht e Claudia Nerozzi
È stato un 16 agosto insolito a Siena e chi vive e conosce questa città non fatica ad immaginare a cosa mi stia riferendo. Nessun velo dorato di tufo ad accogliere le suole delle nostre scarpe in Piazza, nessun coro sudato e accalcato per le vie del centro, nessun colore se non il giallo dell’afa di queste settimane. Il 2020 sarà difficile da dimenticare; ci ha investiti con un’ondata pandemica che ha messo a soqquadro il mondo intero e che ci ha costretto ad adottare delle misure, per il bene della nostra salute e del sistema sanitario che la tutela, che pongono l’attenzione su un aspetto che prima davamo per scontato; l’interazione sociale.

La prima cosa che ritorna in mente a Massimo Stecchi, riguardo alla sua esperienza come pittore del Drappellone per la carriera del 2 luglio 2019, aggiudicatasi dalla Contrada della Giraffa, è la tensione durante la presentazione nell’Entrone: «Quello è il momento più intenso e pregnante sicuramente». Del periodo precedente di preparazione ricorda «la paura iniziale e poi gradualmente la soddisfazione di vedere che stava venendo fuori ciò che pensavi di poter fare». A ogni pennellata il coraggio era in crescendo. L’artista ricevette la commissione un venerdì e consegnò il bozzetto il martedì successivo, «fortunatamente approvato dal Sindaco. Fu un sollievo perché non è semplice tirare fuori l’idea», che rappresenta il momento iniziale fondamentale e che dovette maturare in poco tempo. Senese e contradaiolo della Selva ha vissuto malamente queste giornate: «Ieri si è tenuta la nostra Festa Titolare, quindi ci sono stati i passaggi soliti quali il Ricevimento della Signoria con il Mattutino...Chiaramente nessun tamburo, nessuna bandiera. Il fatto di andare tutti insieme in silenzio a fare queste cose è stato abbastanza pesante. Oltre al pensiero naturalmente di questo periodo che è stato così triste per tutti, per tantissimi, per tutto il mondo, in più noi abbiamo questi appuntamenti che in genere sono appuntamenti di gioia, di comunità ed ora con questa situazione è una comunità un po' strana». L’aspetto che gli è mancato di più è stato «lo stare insieme agli altri», «anche il fatto stesso di condividere i giorni precedenti, in attesa del Palio; quelli sono i momenti belli che per quest’anno sono passati». Come tanti artisti anche lui ha dovuto rimandare dei progetti al 2021 e dunque alla mestizia di sottofondo rivolta al presente si aggiunge la nota di incertezza sul futuro, «questo pensiero che tutti abbiamo», il punto interrogativo su quando finirà la pandemia, che è «un elemento molto disturbante».
Jean Claude Coenegracht risponde alle mie domande dal Belgio, che è stato investito anch’esso dal caldo torrido. «Per me è stato un momento speciale» commenta così il ricordo dell’esperienza come pittore del Drappellone per il Palio del 16 agosto 2016, conquistato dalla Contrada della Lupa con un cappotto storico. Racconta l’intensità di quei giorni con i vari appuntamenti e le interviste con i giornalisti. «La sensazione più forte l’ho avuta al Duomo» riferendosi sia al 14 agosto che al giubilo della contrada vincitrice. «È stata come una gioia interiore», un’emozione fortissima che gli era stata anticipata dalle parole di un suo caro amico, Cesare Olmastroni, di cui rammenta dolorosamente il lutto: «Mi disse: “Jean Claude devi vedere al Duomo. Sarà molto bello per te”». Ricorda la «bella presentazione» e l’invito della Contrada della Lupa ai festeggiamenti. Riguardo al periodo di preparazione del Drappellone mi dice che aveva già il disegno, ma che scelse di non fare il bozzetto; le pennellate sul drappo di seta fluirono «come un fiume. Non mi piacciono le cose troppo studiate». Gli chiedo come sta vivendo l’emergenza coronavirus: «Per l’arte, il teatro, il cinema» sottintende, come è facile intuire dal suo tono di voce, che la situazione è grave. «Le gallerie non fanno le inaugurazioni che è pericoloso» e dunque anche lui ha dovuto rimandare dei progetti. Per misurare l’andamento attuale attende, come noi in Italia, i risultati dei rientri a scuola. Torna poi sulla nostra città «Siena mi manca troppo. Proverò a tornare a primavera prossima. Ho molti amici lì» e fa il nome di Tommaso Andreini: «Sono fratello di Palio con Tommaso. Quando c’è stata la vittoria per me è stata una grande gioia vedere il suo Drappellone al Duomo». «Quando sono a Siena è come essere a casa» mi dice «Perché per me Siena è una città viva. È la città del cuore, morire a Siena è gioia! Ho questa sensazione qui per due città; Praga e Siena. Ma più Siena» e aggiunge scherzando «per i pici!» con una sonora risata.
I ricordi di Claudia Nerozzi, pittrice del Drappellone per il Palio del 2 luglio 2013 vinto dalla Contrada dell’Oca, «sono miliardi e sono tutti ancora indelebili. Il tempo passa, ma a volte sembra che sia proprio questo a renderli più belli e più vicini a te». Racconta che per lei quello più emozionante «è stato la telefonata in cui mi hanno incaricato di dipingere il Drappellone. Quello è stato un momento che non scorderò mai; eravamo io, mia sorella e un mio amico di famiglia al maneggio dal mio cavallo». Poi iniziò il periodo di preparazione che si accompagnò a un sentimento di «grossa responsabilità nel dover fare questa cosa incredibilmente importante. Ho dipinto il Palio a 26 anni, ero giovanissima». Responsabilità che sentì non solo per il fattore età, ma anche per il fatto di essere una pittrice di questa città, cosa che si è riverberata anche sull’idea per il Cencio: «Da senese scelsi una cosa abbastanza tradizionale; sono molto legata all’iconografia classica e ai Drappelloni del passato. Volevo un Palio che fosse leggibile da tutti, che piacesse ai bambini, alle persone più o meno anziane, a chi si intende o no di arte, un Palio che arrivasse al cuore». A darle l’ispirazione è stato il suo amato Iron Horse «che non è stato fortunatissimo come cavallo di Piazza» e che doveva rappresentare tutti i cavalli che hanno corso lungo quell’anello di tufo e che, vincenti o non vincenti, sono stati comunque protagonisti. Ricorda con emozione il giorno della consegna del Cencio. «Il momento per eccellenza è stato quando è diventato il Palio vero, quando l’hanno portato nel Cortile del Podestà e l’hanno mostrato a tutti. Lì mi sono resa conto che quell’opera non era più mia, era come se un figlio avesse imparato a camminare e fosse diventato grande e allora gli lasci la mano». Aggiunge «la condivisione dell’emozione con Franco Masoni, che ringrazierò per sempre». In riferimento a questo anno senza carriere: «Penso che tutti i senesi stiano vivendo male questi giorni, ma forse non solo questi perché, come si dice, il Palio è tutto l’anno. Probabilmente a Siena è mancato di più il vivere la contrada e anche la festa titolare, le occasioni di ritrovo, che la corsa in se stessa, perché quest’ultima è soltanto, tra mille virgolette, il culmine di una socialità che si costruisce durante tutto l’anno. Penso di poter dire che a me, come a tanti, è mancato proprio quello». L’esperienza come pittrice del Drappellone ha cambiato la sua vita artistica sia dal punto di vista professionale che umano: «Professionalmente ha dato una scossa poiché avendolo dipinto a 26 anni non è stato per me il culmine di una carriera, ma l’inizio», una specie di LA al suo percorso, e «Dal punto di vista umano perché ho acquisito un altro tipo di conoscenza di me stessa. Sono stati dei mesi molto duri, non mi vergogno a dirlo, perché ero sola con questi due metri e cinquanta di tela; mi ha portato quasi ad essere sempre davanti a Claudia, sempre allo specchio, sempre a chiedere di più, di migliorare e quindi è stata una crescita, importante anche a livello tecnico e di studio. Una ricerca personale. Quando è finita la fattura stessa, mi sono trovata più grande, diversa e matura. Più consapevole delle possibilità che ognuno ha dentro di sé e che si deve sempre costantemente ricercare non nel mondo circostante, ma attraverso l’impegno, la passione, la forza che hai dentro di te». Come per moltissime persone purtroppo quest’anno è stato anche per lei professionalmente difficile, però «fortunatamente gli artisti hanno questo privilegio, ma anche la condanna, di avere una sensibilità sopra la norma. Dunque chi lavora con le emozioni, anche in un così brutto periodo, forse ha saputo progettare e cercare di andare avanti». I progetti dunque ci sono; allestire gli eventi per presentarli rappresenta la vera sfida in un periodo in cui utilizzare i verbi al futuro è difficile in ogni ambito. «Sicuramente è anche un momento per riflettere su tante cose; siamo fermi da un lato, però cerchiamo comunque di non arrenderci». Al momento Claudia sta lavorando ad un quadro suo personale proprio sul tema della rinascita.
Un concetto che per me è sinonimo di ricostruzione partendo dal buono, di presa di coscienza dell'interconnessione tra gli individui, di sinergia che si esprime attraverso il rispetto delle regole e di speranza rivolta a quel tempo in cui questo virus scomparirà e torneremo ad abbracciarci senza remore.
Francesca Raffagnino