Puntare soprattutto sul patrimonio culturale e sulle specificità agroalimentari. Attrarre sempre più studenti provenienti dal mondo e attuare scambi culturali fra diversi Paesi.
Sono trascorsi sette anni dall'inizio della grande crisi che ha attanagliato l'Italia, l'Europa e il Mondo. Ne stiamo uscendo faticosamente e ci sono segnali tangibili di ripresa...ma i danni sono stati tanti, dolorosi e sensibili...avvertiti dalla nostre famiglie, e soprattutto dalla gente della nostra città, piegata su se stessa, invecchiata e ingobbita.
Basti pensare che il peso fiscale ha mediamente pesato sulle nostre tasche e teste per oltre 8.000 eurini ballanti...ma non più suonanti.
Ecco perché sono trasalito, rimandone stupefatto, quando il capo redattore della cronaca locale de La Nazione se ne è uscito con l'affermazione che Siena non è e non sembra una città in crisi.
Partecipavo ad un interessante e singolare incontro con la stampa, organizzato dai Riformisti di "Società aperta", dove per una volta erano i cittadini ad interrogare i giornalisti, e sono rimasto a bocca aperta. Forse non c'avevo capito niente e avevo vissuto un'altra vita.
Eppure in questi anni la cassaforte della Fondazione, per correre dietro al falso mito del 51% di proprietà della Banca, è stata svuotata. La Sansedoni ha rischiato la bancarotta e la Banca è stata per diverso tempo in bilico...lì lì per precipitare sul fondo di un burrone dove scorre il fiume "fallimento". La Banca ha retto ma non è più - lo sanno anche i sassi - un patrimonio della comunità Senese.
Ha chiuso i battenti la Siena Biotech; l'Enoteca è stata svuotata delle sue peculiarità storiche. Hanno serrato le porte, nel solo Comune, oltre cento piccole realtà aziendali.
Nell'edilizia abbiamo perduto centinaia di posti di lavoro e visto aziende fino allora "sane"...chiedere il concordato fallimentare ed altre imprese sparire dal tradizionale tessuto commerciale, sull territorio. Una per tutte la Bazzani.
Eppure la città veniva dipinta con colori pastello che andavano dal rosa al celeste.
Qualcuno si piccava poi a sottolineare come nel frattempo tanti giovani – con i soldi di babbi e nonni, dico io – hanno aperto attività nel campo enogastronomico. Sì, l'ho visto anche io che in Pantaneto, per esempio, ci sono più di 20 ritrovi, ma nessuno sa, se e per quanto - l'uno accanto all'altro - reggeranno, anche se auguro a loro una lunga e prospera esistenza.
Ma il conto fra quelli che chiudono e quelli che hanno aperto l'ha fatto nessuno? Ecco questo è un dato che mi aspetterei di avere dalla Camera di Commercio e/o dalla Confesercenti o dagli Uffici competenti della nostra casa comunale.
Io sono fra quelli che ritengono che si debba puntare soprattutto sul nostro inestimabile patrimonio culturale, sulle nostre specificità agroalimentari e soprattutto sulle nostre due Università e sul grado di internazionalizzazione che sapranno anno dopo anno raggiungere.
Ecco, anche la vita dei tanti "barrini" di Pantaneto dipende dalla popolazione universitaria che deve crescere per non trovarsi in un pantano.
Non voglio assolutamente dire che Siena debba diventare un grande "campus" universitario...sarebbe sciocco e restrittivo delle nostre potenzialità, ma se riusciamo ad attrarre sempre più studenti provenienti dal mondo e attuare scambi culturali fra diversi Paesi potremmo accostare Siena ad Oxford a a Cambridge, restando comunque una...grande Siena.
Roberto Morrocchi