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I GIGANTI BIANCOVERDI: VRBICA STEFANOV

News inserita il 14-10-2010

 

Non è necessario superare i due metri di statura per essere gigante su un campo da basket. La lezione l’ha insegnata il campione macedone.

Non è necessario superare i due metri di statura per essere gigante su un campo da basket. La lezione ce l’ha insegnata Vrbica Stefanov, tratti somatici e struttura fisica ben lontani dagli standard di atleta che quotidianamente si è soliti osservare sui parquet, eppure campione assoluto nello sport dei canestri, sfruttando l’intelligenza, la tecnica, più ancora l’etica del lavoro applicata in maniera quotidiana alle cose del basket.
Stefanov è stato per la Mens Sana una sorta di sherpa. E’ colui che ha guidato il club biancoverde alla salita verso l’elite italiana ed europea, in un momento storico in cui si iniziava a mettere a frutto il matrimonio col marchio Mps: nato a Kavadarci, piccola città della Macedonia, non poteva che essere una trave portante nella strabiliante follia creativa sbilanciata verso l’est europeo teorizzata da Ferdinando Minucci ed Ergin Ataman nell’estate del 2001, ma rimase un baluardo pure nelle stagioni a venire, quando le strategie ed i protagonisti erano ormai cambiati.
Andiamo con ordine. Stefanov, classe 1973, approda a Siena nel pieno della maturità cestistica. Ha giocato in Turchia ed all’Aek Atene ma deve ancora compiere ventotto anni quando inizia a dirigere dalla cabina di regia un intreccio di nomi di chiara matrice slava, alcuni famosi altri meno, si chiamano Gorenc, Zukauskas, Topic, Bulatovic, Oztas, poi Naumoski, Masiulis. Una multinazionale del canestro che in Italia centra il quinto posto ma che soprattutto ha l’obiettivo dichiarato di vincere quella che è l’ultima edizione della Saporta Cup: la cavalcata in Europa è impetuosa e Stefanov ne guida l’andatura fino all’ultimo atto a Lione, sparando nel canestro del Pamesa Valencia 17 punti in 36’ e riuscendo anche a non pestarsi i piedi in campo con Naumoski, con il quale i rapporti (seppur tra connazionali) saranno sempre e solo di sopportata convivenza.
Sono due mani fatate a fare del playmaker macedone un giocatore fuori dal comune. Con quelle serve assist deliziosi ai compagni, ruba palloni, sgancia tiri pesanti che spesso e volentieri vanno a destinazione, pur non brillando per stile e nella meccanica di rilascio del pallone. Stefanov pilota la Montepaschi verso le finali di Eurolega a Barcellona 2003 ed è il migliore, 17 punti, tra i “neroverdi” a St.Jordi nella semifinale persa con la Benetton, ripetendosi sempre a quota 17 due giorni dopo nella vittoria sul Cska che vale il terzo posto in Europa. Poi il 2004, con coach Charly Recalcati che ne fa il “motore” del primo scudetto mensanino (il 5 giugno del 2004 è lì ad alzare quella coppa che nessuno, solo pochi mesi prima, avrebbe mai sognato di sollevare al cielo di viale Sclavo) e della seconda F4 consecutiva, stavolta a Tel Aviv: si finisce al quarto posto, sconfitti in volata da Skipper e Cska, ma Stefanov è il solito metronomo, segnando 14 punti sia in semifinale che nella finalina. Sul suo terzo ed ultimo anno a Siena non è il caso di soffermarsi troppo. Non perché “Vrba” (suo nickname: in serbo-croato significa “salice” ma in realtà è più una storpiatura del nome Vrbica) lesini sforzi, anzi, quanto perché una serie di coincidenze, particolari e sfortunate, penalizzano quella Montepaschi altrimenti destinata ad arrivare in fondo. In Italia ed in Europa.
Mi diverto invece a ricordare ciò che succede nella primavera del 2007. Una mattina Ferdinando Minucci mi chiama nel suo ufficio e mi dice di buttare giù il comunicato ai media per l’ingaggio di un nuovo giocatore: “McIntyre è l’unico vero playmaker che abbiamo da qui alla fine della stagione –spiega al sottoscritto, allora addetto stampa del club assieme a Cristiana Mastacchi– e siccome possiamo ancora ingaggiare un giocatore che possa dare una mano nella malaugurata ipotesi di un suo infortunio, abbiamo firmato con Stefanov”. Trattengo il respiro e poi dico: “Riste Stefanov quello che gioca a Sofia, vero?”. Minucci mi incenerisce: “Di Stefanov ce n’è uno solo e si chiama Vrbica!”. Comunicato pronto in quattro e quattr’otto, mentre Stefanov, Vrbica ovviamente, è già in giro negli uffici del club ad offrire i pasticcini a tutti i dipendenti e gli amici di una volta, come sempre un gran signore nel modo di porsi con chiunque. Tra Minucci e Stefanov c’è una forte amicizia, un legame che va al di là della Mens Sana, un patto d’onore al quale il giocatore tiene fede quando la malaugurata ipotesi prende corpo.
Sette giugno 2007, due giorni dopo l’eroica vittoria dei tre tempi supplementari. Si va a Roma per chiudere la semifinale ma McIntyre è stato azzoppato da un colpo neanche tanto fortuito del duo Askrabic-Hawkins e allora arriva il momento di Stefanov. Un paio di assist, un recupero e poi è il momento di prendersi un tiro da fuori, di segnarlo, di fare il bis subito dopo: è una prestazione commovente quella di Vrbica, ormai 34enne e quasi fuori dal grande giro (nonostante fosse sotto contratto con l’Olimpiacos), una storia che fa sciogliere il cuore nel bel mezzo dell’uragano biancoverde abbattutosi sulla Lottomatica. La Montepaschi andrà in finale e tornerà a vincere lo scudetto, Stefanov sorriderà compiaciuto a bordo campo, umile ma conscio di aver messo la sua piccola-grande firma in calce all’avvio di un nuovo, grande ciclo.

Matteo Tasso

 

 

 

 

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