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I GIGANTI BIANCOVERDI: LEMONE LAMPLEY

News inserita il 21-10-2010

La storia del giocatore statunitense, giunto in viale Sclavo senza grandi aspettative e poi, come quasi sempre succede, rimasto in biancoverde per diverse stagioni visto il contributo tangibile fornito per la causa mensanina.

I nostri viaggi nella memoria ci riportano all’inizio degli anni Novanta. Facciamo un percorso inverso rispetto a quello compiuto fino ad oggi e togliamo un po’ di polvere da un libro che la Mens Sana ha scritto non appena risalita in serie A. Dopo quattro, infiniti campionati di cadetteria.
L’estate del 1990 è quella della permanenza in panchina di Dado Lombardi, della conferma in blocco degli eroi della promozione (c’è Pino Brumatti che smette di giocare per “anzianità”, al suo posto arriva un imberbe Stefano Vidili), dell’atteso inserimento nel roster di due atleti stranieri. E’ la Ticino Assicurazioni di Wendell Alexis, una gazzella dai muscoli di seta (che rimarrà a Siena solo per un anno), e di Lemone Lampley, statunitense giunto in viale Sclavo senza grandi aspettative e poi, come quasi sempre succede, rimasto in biancoverde per diverse stagioni visto il contributo tangibile fornito per la causa mensanina.
Lampley, di lui ci occupiamo, è un lungo di 207 cm nato nel 1964 a Chicago. Ha la statura ma non la struttura (fisica) da centro, probabilmente non ha neppure fondamentali eccellenti (ha un’ottima sospensione in “avvitamento”, quella sì) ma compensa con una mostruosa verticalità, che lo porta a prendere rimbalzi ben oltre l’anello, a stoppare, ad entusiasmare i tifosi con schiacciate rimaste nell’immaginario collettivo. E’ stato seconda scelta dei Sonics ma l’Nba non l’ha conosciuta, passando subito in Europa (Rieti, un bel marchio di fabbrica per i giovani statunitensi negli anni Ottanta, poi la Joventut Badalona) e rientrando nei piani della Mens Sana perché alla neopromossa serve un giocatore d’area. Sorride a tutti anche se l’unica parola vagamente italiana è il “bueno” (imparato in Spagna) che pronuncia all’inizio di ogni sua approssimativa frase, e si dice sia gelosissimo della compagna Angela, che ai tempi di Rieti pare fosse solito chiudere a chiave in casa quando andava ad allenarsi. Il primo impatto con Lombardi è devastante: a Riva del Garda, 18 agosto amichevole con Trieste, il Dado lo vuol già tagliare poi in qualche modo i conflitti si appianano (anche perché, in definitiva, in società non ci sono tanti soldi da spendere) e Lampley si mette al servizio di questo coach così burbero e brontolone, che pure riesce a tirare fuori il meglio dalle sue possibilità. Lemone tira fuori dal cilindro una stagione pazzesca: 33 partite e mai una volta al di sotto della doppia cifra offensiva (la media è di 18.8 punti, più 8.0 rimbalzi), una serie infinita di avversari inchiodati sul parquet dalle sue stoppate (il duello più esaltante è quello con Dallas Comegys di Sassari, suo ex compagno ai tempi di De Paul University), un marchio indelebile sulla promozione della squadra in A1.
Qui, probabilmente, nascono i problemi. Perché di fronte alla prospettiva di un campionato nel quale servirebbe affiancargli un centro di ruolo, Lemone Lampley si ritrova invece accanto per diverse partite prima Frank Kornet, ala tiratrice clamorosamente incostante, poi Cedric Jenkins, filiforme meteora proveniente dalla lega giapponese (…). Quando al capezzale della Ticino Assicurazioni, e di Lampley, arriva finalmente il roccioso Bob Thornton, i buoi sono già scappati: nell’ultima parte della stagione Lemone produce numeri fenomenali (chiuderà con 9.9 rimbalzi a partita e sfiorando i 18 punti anche al “piano di sopra”; la schiacciata rovesciata messa in scena contro i Campioni d’Italia di Caserta è la prima di sempre vista a Siena, il vostro cronista se la sogna ad occhi aperti anche a distanza di quasi vent’anni), la squadra si riequilibra e rincorre la salvezza ma nonostante la vittoria di Roma col Messaggero (25 punti e 14 rimbalzi del nostro, tanto per gradire), per la Mens Sana è un mesto ritorno in A2.
Se a Lombardi non era istintivamente piaciuto, con Valerio Bianchini è invece amore a prima vista. La terza, ed ultima, stagione di Lampley in biancoverde è probabilmente la migliore di sempre: Darren Daye gli dà sicurezza e lui risponde con un’annata da…doppia cifra (18.9 punti e 10.6 rimbalzi), segnando tre volte più di 30 punti (high i 39 contro Napoli, sul neutro di Pesaro) e catturando in un’occasione, contro la capolista Reggio Emilia a dicembre, la bellezza di 20 rimbalzi in una sola gara. Non abbiamo parlato del vero, grande “neo” nel suo essere giocatore di basket: i tiri liberi. Ricordo una domenica da incubo (per lui e per quelli, come me, che erano al seguito della Mens Sana) a Desio, con la squadra di casa che si “divertiva” a mandarlo in lunetta aspettandone l’errore: Lampley fece 2 su 12 (sì, due su dodici) a palla ferma, roba da arresto!!
L’ultima sua Mens Sana getta alle ortiche la promozione nei playout perdendo contro Rimini e Fortitudo e l’avventura senese è giunta al capolinea. Lampley giocherà ancora in Italia, a Trieste, ed in Grecia, dove la pressione dei tifosi lo stresserà talmente da fargli prendere la decisione di smettere col basket e ritirarsi. Tipo tranquillo, a volte anche troppo, ma pure colonna del basket senese in quei tempi. Anzi, gigante.

Matteo Tasso

 

 

 

 

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