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IL SENTIMENTO NAZIONALE DEGLI ITALIANI? A SIENA ESPERTI RIVELANO...

News inserita il 08-02-2011

Interessante e ricca di spunti l’indagine realizzata dal Laboratorio Analisi Politiche e Sociali dell’Università di Siena diretto dal Prof. Pierangelo Isernia, docente alla Facoltà di Scienze Politiche,  e da lui presentata, questa mattina, al Santa Maria della Scala per il convegno-studi LA LEZIONE DEL XX SECOLO. Nazionalismo, totalitarismo e sentimento nazionale europeo.
Il convegno, iniziato ieri pomeriggio con gli interventi di Nicola Labanca, Pier Paolo Poggio, Alberto De Bernardi e Ariane Landuyt, docenti universitari esperti in storia contemporanea, ha delineato i momenti più salienti della storia italiana dall’unità ad oggi, e di come il sentimento nazionale abbia inciso nei momenti più cruciali. Dalla nascita e crescita del fascismo allo scatenarsi della seconda guerra mondiale, dal genocidio degli ebrei attuato dalla follia di Hitler alla sanguinosa  repressione staliniana. Dal nazionalismo esclusivo che ha riportato operazioni di pulizia etnica in Europa con la guerra nel Kosovo e devastato il Ruanda, a quello inclusivo che, al contrario, è in grado di rafforzare e potenziare le democrazie.
Una serie di contributi  che hanno spiegato il facile connubio tra nazionalismo e totalitarismo, tra nazionalismo e guerra.
Un sentimento sul quale ha lavorato, da politologo, Pierangelo Isernia coinvolgendo 1000 persone (200 i toscani intervistati) di età superiore a 18 anni in un’indagine campionaria di livello nazionale e con variabili socio-economiche e politiche.
Dal suo lavoro l’immagine di un italiano un po’ Robin Hood e un po’ qualunquista che, nonostante il periodo politico, ha ancora fiducia nella Magistratura per il 50%, molto meno nei partiti visto il poco gratificante 12%. Al primo posto le Forze Armate con un 78%, seguite dall’Università con il 62%, la Chiesa il 53% e i sindacati 30%.
Ma cosa significa essere italiani? Un’identificazione importante per l’83% ,anche se molte delle nostre caratteristiche fanno vergognare il 30% di noi. Al forte sentimento di italianità si contrappone la considerazione, per l’84% , di una politica lontana dalle persone,  incomprensibile e complicata per il 70%.
Parametri, questi, che dovrebbero far scattare un campanello di allarme nei nostri governanti in procinto di attuare una riforma federalistica che vede un Paese diviso a metà,  dove solo il 42% è favorevole e un non piccolo 21% non sa esprimere un giudizio. Un gap che si traduce in possibilità di orientamento verso scelte diverse. Ancor più se si analizzano i dati dai quali emerge il nostro spirito samaritano: il 62% è favorevole ad aiutare le regioni povere, per il 25% devono cavarsela da sole, ma se il tema viene declinato in Nord e Sud allora solo il 38% è favorevole, mentre per il 48%  devono provvedere da soli.
Ancora risultati, quindi, sui quali riflettere per come “vestire” e <<vendere  - come ha evidenziato Isernia - il federalismo, perché  l’argomento ‘aiuti al mezzogiorno’ è percepito in maniera diversa dal centrosinistra (71% pro) e dal centrodestra (33% contro)>>. E questo non appena si cambia, appunto, un semplice termine: quando il ricco viene impersonificato dal Nord e il povero dal Sud; una  declinazione di parole che combacia, poi, con quella di pensiero politico. Ma in questo anno di celebrazioni per l’Unità d’Italia si scopre anche che i meridionali hanno meno voglia di lavorare dei marocchini, superati, questi ultimi, sul rispetto delle leggi. Il Sud è  imbattibile sul piano della generosità e sulla fiducia non tradita.
Confortante, invece, il fatto che la maggioranza (53%), senza differenze politiche, si emoziona sulle note dell’inno nazionale e che il 58% dà un giudizio positivo sull’unità del Paese, anche se la nostra conoscenza storica su questo momento risulti piuttosto labile: solo il 36% ha ricordato la data esatta. La speranza del ricordo storico è da riporre, dunque, nelle celebrazioni, più che nei libri.
Ma allora questo federalismo proposto dal popolo del Carroccio non è che sarà vissuto dagli italiani a seconda di come viene politicizzato, cioè venduto, e non invece su quello che in prospettiva dovrebbe produrre, visto che per la maggioranza degli intervistati arrecherà solo un aumento delle tasse e  che per solo una percentuale, tra il 40 e il 30 per cento, porterà efficienza?
Comunque tra i dati meritevoli di attenzione  la fiducia del 78% nelle Forze Armate, che l’84% è letteralmente schifato dalla politica che ha perso il suo collegamento con l’elettorato, che un buon 44% ritenga il Nord egoista verso il Sud e  che il politico più importante, per il contributo alla storia dell’Italia, sia riconosciuto in De Gasperi.
E, infine, ci sentiamo più italiani che europei?
Sicuramente italiani. Sosteniamo, infatti, che la nostra inclusione europea, considerata favorevolmente nel 1999 dal 71%, è, adesso, solo al 53%. Il percorso verso un processo di identificazione, in grado di superare i confini dello Stato è ancora molto in salita. Questo perché in molti settori, ad eccezione del patrimonio artistico, delle già citate Forze Armate e dello sport, ci consideriamo molto <<arretrati>>, nell’ambito delle istituzioni politiche, rispetto a nazioni similari come Francia, Inghilterra e Germania. Lo afferma il 77% e per la giustizia il 76%, anche se, nei confronti dei giudici, e a seconda dell’orientamento politico, la stima rimane ancora alta.
Ultimo, ma non per importanza, il giudizio sull’euro che, dalle dichiarazioni rilasciate, non sembra godere di buona salute. Per molti è stata la causa della perdita del potere d’acquisto, altrettanti lo considerano un valido strumento per competere con USA e Giappone, ma, al contempo, è un ostacolo per l’esportazione dei nostri prodotti.
Una moneta, quindi, a due facce: una luminosa e una oscura, ma con la quale dobbiamo convivere. O, meglio, vivere in questa Italia che, ancora una volta riesce a sorprenderci.
Uniti e divisi, a seconda della “giubba”, e, soprattutto, se, o non, la indossiamo. Forse la nostra forza identitaria sta proprio in questa diversità, comunque riunita da un uomo a cui tutti, indistintamente, hanno riconosciuto il merito: Garibaldi.
Il percorso di crescita identitaria, sicuramente, non è concluso, né a livello nazionale, né a livello europeo; del resto non avrebbe senso perché un popolo e la sua civiltà sono fattori in continua evoluzione.

 

 

 

 

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